Topo da biblioteca, perché no?

Una volta, quando scrivevo romanzi e poesie ero considerata un topo da biblioteca. Ho dovuto convivere a lungo con questo metro di giudizio che, a essere sincera, mi metteva un po’ a disagio. In questi ultimi le cose sono cambiate, nonostante il mio lavoro di copywriter preveda sempre un “dietro le quinte” vivo molto meglio. Il tempo che dedico al mio lavoro è tempo per te e non più per me e per intrattenere lettori. Adesso mi occupo di gestione del linguaggio per liberi professionisti e sono felice di riportare la stessa cura che riponevo nei miei testi, nei tuoi. Ho raggiunto la consapevolezza che stare al centro dell’attenzione non fa parte del mio DNA. Sto bene dove sto. In mezzo alle parole e alle idee vulcaniche che mi frullano per la testa.

Non credo siano d’accordo in molti con quello che ho appena detto. È evidente che oggi si scriva e si raccontino storie più per apparire in pubblico e postare scatti che ci ritraggano felici e contenti in mezzo alla gente. Non ne avverto la necessità. Mettere in luce i clienti fa brillare anche me. Non chiedo di più, perché rimanere nell’ombra è il mio quid senza pro quo. Tornando invece per un attimo al disagio di cui ho parlato nelle prime righe, si è evoluto traducendosi in un modus operandi in cui credo. In un’epoca come quella attuale, passare momenti di solitudine genuina, in cui realizzo il sogno di un mondo costruttivo fondato sulla vera reciprocità, è un privilegio che mi salva dal vuoto cosmico dei social network.

Osservare con attenzione, ispirare e ascoltare sono principi pieni di sostanza a cui non potrei mai rinunciare neanche in un’altra vita. La poetica mi ha insegnato a percepire le emozioni più intime come ancore di salvataggio. Conoscere il lato inedito di noi stessi a cui ci aggrappiamo quando ci sentiamo disorientati è fondamentale nella vita e nel lavoro. I social credo stiano snaturando il senso di profondità, lo scambio spontaneo di opinioni e l’etica delle persone, e non sono dettagli.

Topo da biblioteca, MAREIOS, Marina Atzori, comunicazione per piccoli business

Io vivo di dettagli. Quando sono concentrata sul lavoro mi sento una galassia privilegiata isolata dal resto dell’universo, lontana dal brusio di un raccontarsi privo di luce narrativa.

In questo post soffia lieve una promessa. Anche se la parola promessa non è tra quelle che preferisco. Prima però voglio svelarti per quale ragione vorrei riuscire a mantenerla.

Essere scrittori è come abbracciare uno stile e una filosofia di vita non condivisibile da tutti. Curare il linguaggio implica un distacco necessario che ti permette di trovare soluzioni. Significa vivere per narrare le tue verità senza che esse rimangano velate. Chi decide lo spessore e il colore del velo sei tu. Sei tu che alzi e abbassi il sipario e il pubblico decide se ascoltarti con interesse oppure no. Sei tu che levi l’ancora. Hai tu il timone. Il tuo compito è partire sapendo che tornerai con un tesoro sommerso da mostrare: la tua Storia.

Scrivere è come stare in apnea. Lunghi periodi di riflessione e di progettazione in cui stai lontano dai riflettori e indossi i panni del famoso topo da biblioteca circondato da torri di libri più o meno impolverati ma decisamente indispensabili. Non a caso chi scrive su commissione per poi sparire nel nulla si chiama «ghostwriter». Definire mousewriter chi mescola sapientemente concetti e sentimenti come un alchimista di larga esperienza sarebbe stato poco clemente.

La figura professionale del ghostwriter, anche grazie all’alone di mistero che la avvolge, conserva il fascino del segreto di chi crea storie che funzionano. Eppure quelle storie nascono nell’ombra per poi vedere la luce che meritano senza che nessuno sappia chi sia l’artefice dell’incanto. Chiunque pensi sia poco, sta commettendo un imperdonabile errore di valutazione.

Oggi non esiste quasi più nulla di segreto se non codici e password di accesso a profili forzati dalla corsa al motivo apparente. In pochi conoscono la fatica e il duro lavoro che si celano dietro quello che non è visibile o fotografabile. Ma è in quelle eccezioni che sopravvive l’autenticità di un contenuto. Non c’entrano i post costruiti ad arte per attirare l’attenzione in una frazione di secondo. Chi lavora seriamente con la scrittura non pensa e non ambisce a trovare il suo posto nel mondo grazie ai like o a un numero imprecisato di seguaci più fantasma del vero ghost che si aggira nei film horror.

Se è vero che la lettura è di tutti, la scrittura che insegue ideali lontani dall’apparenza è sempre più per pochi. Ciò potrebbe essere un bene se vuoi distinguerti dalla massa. Non è solo questione di talento comunicativo, ma di fiducia originaria e profonda in ciò che fai. C’è chi nasce con la piuma sotto il cuscino e con quella piuma sogna di planare sul superfluo, fino a immaginare che le storie in fondo servano a dare un senso non solo alla propria esistenza, ma a cambiare il mondo.

Pensaci. Le parole hanno il dono di spostare le lancette, di riportare al loro posto le cose che ti hanno ferito o reso indifferente, nel passato. La narrazione serve a mettere ordine, a ristabilire equilibrio tra ciò che vuoi e non vuoi sia ricordato. Non sono un mezzo di mero consumo, ma un bouquet di sensazioni al presente che ti spingono a raccontarti liberamente, senza pensare di incontrare approvazione.   

Dulcis in fundo la mia promessa, ricordi? Ti do la mia parola: ne farò un vanto se sarò considerata ancora topo da biblioteca. Le parole sono cosa viva, sostanza che supera la forma, farfalle da rincorrere, fiori non da cogliere ma da rispettare per la rara bellezza a cui ho dedicherò notti insonni nella penombra di una biblioteca silenziosa e polverosa. Squit!

 

Ciao, grazie per aver letto questo post.

Sono Marina, curo l’identità verbale dei liberi professionisti.

Scrivo testi per te e con te.

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