Perché con il suo carisma Michael Jordan ha ispirato moltissimi atleti e persino me, che con il pallone e il campo da basket non c’entro nulla?
Nella mia vita ho sbagliato più di 9000 tiri. Ho perso quasi 300 partite. 26 volte i miei compagni mi hanno affidato il tiro decisivo e l’ho sbagliato. Ho fallito tante e tante altre volte. È per questo che alla fine ho vinto tutto.
Michael Jordan
Ho fallito tante e tante altre volte. È per questo che alla fine ho vinto tutto… il senso è concentrato tutto in queste ultime parole, per me cariche di significato. Si può vincere tutto o quasi imparando dai fallimenti? Assolutamente sì! Perché il concetto di vittoria, grazie alla sua vastità, può essere visto e interpretato in un contesto ben più universale rispetto al consolidato connubio podio-medaglia.
Perché ho fatto mia la frase di Michael Jordan?
Semplice: ho sempre avuto paura di fallire. Facevo bene ad avere paura. Infatti ho fallito. Sono caduta, ma mi sono rialzata una marea di volte.
Una tra le tante? Quando mi iscrissi alla facoltà di giurisprudenza. In quel periodo avevo messo al primo posto della mia scala di valori la giustizia. Dovevo ancora mettere in ordine le idee, perché non ero così convinta che fossi sulla strada giusta. Da ragazza sognavo un mondo in cui la meritocrazia e la parità dei diritti ricoprisse un ruolo dominante nella società. Sbagliai clamorosamente, non negli intenti, ma perché sul treno, mentre tornavo a casa dall’università, riflettevo e più riflettevo più i dubbi mi attanagliavano. Per cambiare il mondo avrei dovuto cambiare visione del mondo, perché ero circondata dalle ingiustizie. Mi sono chiesta che cosa volessi veramente, finché un giorno arrivò la risposta. Volevo lavorare con le parole e con le persone. Volevo imparare a padroneggiare il linguaggio per mettere in luce le mie vere ambizioni e quelle degli altri. Immergermi nella marea di significati che le parole stesse potevano indossare, esattamente come un abito cucito su misura. Questo volevo fare. Capii presto che non avrei mai potuto mettere in pratica tutto questo in un’aula di tribunale a colpi di arringhe. Sentivo il bisogno di scrivere e di comunicare qualcosa di più forte rispetto a una legge che purtroppo non sempre era eguale per tutti. Esame dopo esame mi sono accorta che ero poco incline a far valere le mie ragioni a suon di comma e di articoli. Scoprii presto che le mie attitudini erano altre, ma in quel momento – sbagliando – credevo che sarei arrivata a pronunciare le fatidiche parole, ce l’ho fatta, ho fatto la scelta giusta. Non l’ho fatto e non mi sono pentita. Da quel giorno in poi mi ero ripromessa di fare solo quello che sentivo e mi sono concentrata su altre opportunità.
Credo che i fallimenti siano la rappresentazione perfetta di ciò che non vogliamo essere e di ciò che desideriamo diventare. Non è mai tardi per evolversi e per credere nella magia di coltivare un sogno che sia solo tuo. Lo dico per chi pensa e agisce con la mentalità dell’ormai. Il tempo non è così inafferrabile, ci offre àncore di salvezza a cui possiamo aggrapparci soprattutto nei momenti di debolezza.
Certo, se sei Michael Jordan parti avvantaggiato, ma si sa, le storie più affascinanti sono quelle che partono dal basso per poi spiccare il volo. Il grande cestista statunitense, prima di diventare Brand e Icon lavorò sodo, e dal punto di vista agonistico e dal punto di vista dell’immagine. Tant’è che firmò un contratto con Nike già nel 1984. Non è cosa da poco se si pensa che in quel periodo, al contrario di oggi, era improbabile che uno sponsor investisse milioni di dollari su una giovane promessa dello sport, per giunta afro americana. Nike andò controcorrente e fu assolutamente lungimirante puntando su Jordan. L’atleta, non aveva solo un profilo appetibile per il mercato a cui Nike ambiva, ma una personalità e idee molto chiare sul dove e sul come arrivare in alto. Nike non aveva tralasciato niente nella sua strategia, neppure un outfit disegnato apposta per Jordan. Difatti, in pochi sanno che l’NBA, inizialmente, minacciò di vietare a Jordan di indossare le Air Jordan, perché non rientravano nello standard prevalentemente bianco delle scarpe da basket di quel periodo. La vicenda fece talmente scalpore da creare un caso di cui parlò mezzo mondo. Il risultato? Vi fu un boom di richieste e nel 1985 (un anno dopo!) le Air Jordan diventarono un classico. Seguirono miriadi di spot pubblicitari in cui l’atleta divenne protagonista di una brand identity così autentica e aderente alla realtà delle persone comuni da ispirare e stimolare i consumatori a seguirlo non solo per i grandiosi risultati.
A proposito di risultati, per chi non lo sapesse, Michael Jordan ha vinto davvero tutto quello che c’era da vincere nella sua carriera: sei campionati NBA, 30 mila punti segnati. Per ben 10 volte è stato insignito del titolo di miglior realizzatore. Jordan ha scritto un pezzo di storia dello sport con la sua squadra, i Chicago Bulls, che nutriva piena fiducia in lui. I numeri accompagnavano di pari passo il suo indiscusso successo e il suo carisma fuori dal campo. Questo mix fece da cassa di risonanza e Jordan diventò quello che è ancora oggi: una vera e propria icona generazionale.
Il Jordan atleta ha sempre messo davanti al raggiungimento dei suoi obiettivi l’importanza delle difficoltà e dei limiti. Limiti intesi non solo come potenzialità, ma anche come prove di fronte alle quali bisogna misurarsi per crescere. Il messaggio del suo Brand tendeva a una visione che fosse vicina alla storica visione di Bill Bowerman, cofondatore di Nike:
IF YOU HAVE A BODY, YOU ARE AN ATHLETE (SE HAI UN CORPO, SEI UN ATLETA)
Grazie all’allenamento non solo fisico ma anche mentale si consolidano aspetti del nostro carattere e della nostra personalità che rafforzano la capacità innata di superare gli ostacoli e andare al di là di un obiettivo raggiungibile.
Per arrivare alla meta o alla scelta giusta bisogna correre dei rischi e sbagliare infinite volte. Lo storytelling di Jordan narra di tiri infiniti e di canestri falliti. Cadere e rialzarsi fanno parte del gioco. Persino vedere la paura stessa come un’illusione, come un ostacolo-fantasma da attraversare con sempre maggiore determinazione. Grazie alla perseveranza si scopre l’impulso del coraggio e la spinta costante della motivazione.
Quando credi fortemente in un sogno è facile fallire, perché investi tutto quello che hai pur di realizzarlo. È naturale che prevalga il lato emotivo, quello in cui si concentrano le aspettative. Compi dei passi in avanti e subito dopo dei passi indietro. È l’eterna lotta tra l’instabilità e l’equilibrio a cui aspiri. La tua reazione di fronte ai fallimenti parlerà di te, di come ce l’hai fatta, e non di qualcun altro. Devi insistere su questo punto, l’unico che fa di te una persona unica. Per costruire una personalità forte bisogna focalizzarsi su come vogliamo essere visti, qualunque strada tu voglia intraprendere.
L’energia, la passione e l’entusiasmo ti permetteranno di continuare anche quando penserai di fermarti.
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