Racconto e narrazione: storytelling o vuoto narrativo?

L’esperienza narrativa pone le sue radici nel racconto di un vissuto, dove i ricordi riscoprono un ruolo sostanziale: supportare storie libere, quantomeno in parte, dalle catene digitali e dai ritmi serrati dei social network. Personalmente non preferisco la pubblicazione programmata e la rigidità degli algoritmi di alcuni social. Vorrà dire che continuerò a subire il fascino segreto della clessidra e di LinkedIn.

Lo swipe (scorrere) frenetico tipico delle Stories di Instagram è lontano chilometri dal mio modo di vedere, di sentire e di scrivere quello che penso, pur rispettando chi raccoglie consensi con le micronarrazioni “a tempo”. Non so voi, ma io non mi trovo a mio agio con quel tipo di strategia in cui il tempo regna sovrano. La frenesia penalizza la magia del racconto e ne pregiudica il contenuto.

Tra me, Instagram and company, non c’è un rapporto idilliaco, è inutile nasconderlo. Il nocciolo della questione è un altro, però. Le regole e i modelli narrativi tendono a relegare in un ruolo marginale l’essenza di un’identità che cerca di distinguersi con la pazienza necessaria. Lo storytelling, in fondo, è storyselling. La s e la t giocano in modo sottile a nascondino. Vince chi tra le righe è più abile a nascondersi.

C’era una volta la superficialità…

Non sono i like e i follower a decretare il successo di uno schema narrativo. A incantare il lettore in modo continuativo è la percezione di momenti veri e intimisti. Il racconto, oggi, per funzionare deve prendere le distanze dalla superficialità e dalla ripetitività legate ad hype sempre più pilotati e interessati. A testimonianza di ciò, sotto certi post, non si vede nemmeno l’ombra dell’interazione. I piccoli business per emergere hanno bisogno di prendere le distanze dall’effimero, dal vuoto narrativo e soprattutto dal “costruito per vendere” senza basi solide. Il campo in cui si vincono le sfide a duello con i competitor non è il modello social improntato al mostrare quanto siamo bravi a postare dimenticando di creare valore attraverso la componente regina del racconto: l’identità verbale.

La narrazione è ormai satura di pensieri omologati e privi di sostanza. Ha bisogno di ampio respiro, di qualche riga in più che spieghi un come e un perché nostri che le permettano di sbocciare in un ecosistema personale, vivo e riconoscibile. Senza riflessione e trasporto la parola magica “esperienza” smette di essere la parte brillante dello scenario narrativo di un piccolo business. Non solo, non assolve al compito primario per cui è nata: rimanere nella mente delle persone come un invito a volere scoprire emozioni e appartenenza con un senso, una direzione precisa meno razionale e più vicina all’essere umano.

L’esperienza narrativa insieme al racconto, in piena sinergia con il ricordo, diventa un itinerario emotivo, il contesto ideale in cui inserire le tappe salienti del tuo piccolo universo motivato e a tratti imperfetto. Carisma e coraggio ti aiuteranno ad ancorarti alla tua personalità inserita perfettamente in una cornice comunicativa più lenta e più sincera. 

Ciao, grazie per aver letto questo post.

Sono Marina, curo l’identità verbale dei liberi professionisti.

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